La nostra voce parla di noi e dice molto più quanto immaginiamo, perfino quello che non possiamo esprimere perché non lo sappiamo. Ad esempio può svelare il rischio di una malattia che ancora non esiste, ma che potrebbe colpirci in futuro: una demenza come l’Alzheimer, una psicosi come la schizofrenia, la depressione o un altro problema mentale. Per prevedere queste condizioni, e controllare l’effetto di una terapia precoce e mirata, un giorno potrebbe forse bastare una telefonata dal cellulare. E’ l’ambizione di un progetto allo studio nei laboratori digital del gruppo farmaceutico tedesco Boehringer Ingelheim, che sta mettendo a punto un algoritmo di intelligenza artificiale capace di predire dalla voce il rischio di sviluppare una patologia del sistema nervoso centrale
“La ricerca sulla malattia mentale che sfrutta le tecnologie di riconoscimento vocale è ancora in itinere – spiega Allan Hillgrove, componente del Cda e responsabile Human Pharma di Boehringer Ingelheim, in occasione dell’Annual Press Conference sui risultati finanziari dell’azienda che quest’anno ha illustrato alla stampa anche il suo impegno nel digitale. (Continua a leggere dopo la foto)
Il piano è di usare l’Artificial Intelligence (Ai) per prima cosa nella ricerca. Poi, se tutto verrà validato come speriamo, un giorno l’Ai potrebbe diventare uno strumento diagnostico per le malattie mentali. Il che sarebbe una gran cosa per i pazienti – sottolinea – perché la patologia mentale costituisce un pesante fardello per le persone che ne soffrono, per le loro famiglie e le società di tutto il mondo”. Prima di metterci ‘sul lettino’ per ascoltarci e leggerci nel cervello, dunque, il ‘dottor Ai’ dovrà allenarsi ancora molto. Ma i presupposti perché alla fine ci riesca esistono e sono scientificamente dimostrati, commenta all’AdnKronos Salute lo psichiatra Claudio Mencacci, direttore Dsmd-Neuroscienze dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano, convinto che nella lotta ai mali della mente sia “cruciale anticipare la diagnosi e di conseguenza il trattamento. (Continua a leggere dopo la foto)
Il principio del riconoscimento del rischio è la nuova, vera frontiera – assicura l’esperto, past president della Società italiana di psichiatria e presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia – Trovo quindi giusto perseguire tutto quello che può aiutarci a riconoscere precocemente il rischio di una patologia mentale”. Gli studi sono particolarmente avanzati nel campo dell’Alzheimer. “E’ già stato osservato che, raccogliendo risposte vocali dai soggetti valutati e analizzandole con tecniche automatiche di esame del linguaggio naturale, il rischio di malattia si riusciva a individuare anche 10-15 anni prima che i sintomi si manifestassero”, ricorda Mencacci. Ma le premesse ci sono anche sul fronte psicosi, per esempio nella schizofrenia: in un esperimento su 34 persone ad alto rischio, l’algoritmo ‘made in Germany’ è riuscito a prevedere che 5 pazienti l’avrebbero sviluppata nel giro di 2,5 anni. “Sappiamo che i pazienti con psicosi hanno un’alterazione funzionale della rete cerebrale che si ripercuote anche sul linguaggio. Da ricerche condotte soprattutto sugli adolescenti – precisa lo specialista – si è visto che le modifiche riguardano in particolare il cosiddetto connettoma”, la rete delle connessioni neurali cerebrali. “Confrontando giovani a rischio con giovani sani, nei primi si sono osservate alterazioni in un’area che si chiama corteccia cingolata anteriore e che ha il compito di avvisarci di eventuali pericoli. Nei soggetti psicotici, o a rischio di psicosi, connessioni modificate in questa sede fanno percepire un costante stato di allerta e di paura”. Uno stress patologico che il cervello, in un certo senso, cerca di ‘spiegare’ a parole. (Continua a leggere dopo la foto)
Ed è qui che entrerebbe in gioco l’algoritmo: l’intelligenza artificiale – è l’idea – viene addestrata a incrociare tutte le evidenze scientifiche disponibili sul rapporto tra voce e malattie del sistema nervoso centrale, imparando a “riconoscere eventuali marker di rischio semplicemente attraverso un’analisi sintattica, semantica e acustica del parlato di una persona”, riferiscono gli esperti che ci stanno lavorando. “I termini scelti, la struttura della frase, il suono, la frequenza e il ritmo della voce” potrebbero rappresentare indizi di un sospetto da approfondire. Del resto, ricordano i ricercatori, fra i segnali-spia di queste patologie ci sono anche elementi come “la difficoltà nel trovare la parola giusta, una compromissione dell’attenzione nella comunicazione e della comprensione alla lettura, un’articolazione verbale compromessa, una limitata emissione vocale”. (Continua a leggere dopo la foto)
Una diagnosi anticipata sarebbe quanto mai importante, osservano gli scienziati digital della compagnia renana, specie considerando che “i sintomi delle malattie mentali arrivano quando il danno probabilmente è ormai irrimediabile”. Ecco perché “diventa fondamentale – concorda Mencacci – riuscire a intervenire quando ancora si è in tempo, in modo da invertire la traiettoria psicotica” sfruttando i margini offerti dalla “plasticità cerebrale. La scoperta risale a pochi anni fa – riporta lo specialista – quando l’americano Sebastian Seung ha spiegato che i neuroni ‘si muovono’ lungo 4R: ripensano alle loro connessioni rafforzandole o indebolendole, si riconnettono, riformano circuiti, si rigenerano”. Insomma, “la traiettoria psicotica è molto dinamica” e “riconoscere il rischio offrirebbe possibilità inedite. Dovremmo davvero lavorarci”, chiosa lo psichiatra.